Post-folk e avanguardia nella scena musicale contemporanea sarda

Negli ultimi vent’anni, la Sardegna ha visto emergere una scena musicale profondamente originale, cresciuta al di fuori del mainstream e all’insegna della ricerca sonora. Da terra spesso raccontata in chiave folklorica o nostalgica, l’isola è diventata un centro creativo in cui memoria e modernità convivono in nuove forme espressive. L’eredità del canto a tenore, dei ritmi ancestrali, dei dialetti e delle poetiche orali non è stata semplicemente preservata, ma rielaborata attraverso elettronica, improvvisazione, avant-pop e noise.

Se negli anni 2000 artisti come Paolo Angeli e Francesco Medda "Arrogalla" hanno tracciato i primi solchi di questa scena, nel decennio successivo quest’ultima ha assunto un’identità forte e riconoscibile grazie soprattutto a Iosonouncane, autore di Die (2015), un disco spartiacque, ostico e concettuale, costruito come una suite ciclica in cui i confini tra le singole canzoni svaniscono. In brani come Tanca e Stormi la voce diviene polifonia, i suoni arcaici e sintetici si stratificano senza climax e la forma-canzone si dilata fino a perdere i contorni.

Su questa scia, ma con linguaggi propri, si sono mosse artiste come Dalila Kayros e Daniela Pes. La prima, con album come Transmutations (2018) e soprattutto con il nuovo Khthonie (2025), ha scolpito un sound brutale, oscillante tra elettronica industriale e canto rituale: brani come Sakramonade o Lamia sono esplorazioni ossessive in cui la voce si fa corpo, grido, possessione, evocando mitologie femminili e ancestrali.

La seconda, con l’acclamatissimo Spira (2023) (prodotto da Iosonouncane), ha proposto invece una forma più intima, lirica ed eterea, costruita su respiri, ripetizioni ipnotiche e suoni elettronici minimali e liquidi. La voce è sempre sospesa tra parola e melodia, tra gallurese antico e una lingua inventata. È emblematica del suo stile la lunga chiusura A Te Sola, in cui una prima parte minimalista si trasforma in un mantra ipnotico e ricorsivo.

Molti artisti di questa scena condividono un approccio anti-epico: le canzoni, infatti, non aspirano ad arrivare a una fine, ma si espandono nel tempo, evocando più che raccontando. In tal modo, i brani diventano spazi da abitare, esperienze immersive che rifiutano l’urgenza del consumo e della forma radiofonica. In questo rifiuto, c’è in un certo senso anche un gesto politico: non piegare la propria identità a logiche omologanti, ma costruire una Sardegna sonora che parli al mondo con la propria voce e nei propri tempi.

Data: 06/05/2025
Autore: Luca Bonasio