
Con il suo album d’esordio, Gem of the West, Kim Elliot — in arte Sentries — ha firmato uno dei lavori più intensi, emozionanti e sinceri dell’anno. Completamente autoprodotto tra i silenzi delle praterie canadesi e l’eco di comunità musicali come Lethbridge e Vancouver, questo disco è un piccolo miracolo di introspezione e potenza sonora. Fra folk espressionista, ambienti sintetici e testi che scavano nel vissuto lasciando spazio all’immaginazione dell’ascoltatore, Gem of the West si impone come un disco maturo, capace di toccare corde profonde. Abbiamo parlato con Kim della genesi del disco, delle sue origini e di cosa si muove nel sottosuolo creativo canadese. Ecco cosa ci ha raccontato.
B: Ciao Kim,
Sei consapevole di aver realizzato uno dei migliori album dell’anno? E come se non bastasse, hai tirato fuori altre perle nella seconda parte. Come hai reagito alle recensioni positive e, se ce ne sono state di negative, su cosa si sono concentrate?
K: Non so se lo definirei uno dei migliori, ma ne sono molto orgoglioso, soprattutto considerando i pochi mezzi e l’attrezzatura con cui ho lavorato. Le recensioni positive fanno sempre piacere, e cerco di ignorare quelle negative, haha.
B: Suoni e produci tutto da solo e in molti si chiedono: com’è possibile? Le uniche collaborazioni compaiono in I Saw Someone Die in Sudbury: puoi spiegarmi chi sono tutte quelle persone accreditate sotto la voce “drones”?
K: Ho imparato a fare tutto da solo crescendo in una piccola cittadina delle praterie canadesi, dove nessuno della mia età voleva suonare in una band. I “drones” sono un gruppo di amici a cui ho chiesto di mandarmi registrazioni in cui canticchiavano o cantavano una singola nota, che poi ho trasformato in un unico grande suono sintetizzato per la parte più intensa di Sudbury.
B: Ci racconti brevemente la comunità musicale da cui provieni e in cui ti muovi?
K: Mi sento parte di due scene musicali: Lethbridge (Alberta) e Vancouver (British Columbia), qui in Canada. Sono cresciuto a Lethbridge, poi mi sono trasferito a Vancouver per il college, dove ho stretto amicizia con altri musicisti fantastici come quelli dei Computer e degli Slowicide. Poi sono tornato a Lethbridge e ho scoperto che la scena qui è piena di talenti, come 4BPM, Chrome Harvest e molti altri.
B: Cosa si muove attorno a te, e quali sono i riferimenti musicali e culturali che stanno dietro a queste canzoni?
K: Penso che molti dei miei testi siano legati a esperienze personali, ma cerco di nasconderle sotto molte metafore, così che chi ascolta possa proiettare le proprie esperienze dentro la musica. Voglio che la mia musica faccia provare delle emozioni, ma non voglio per forza dire quali debbano essere.
B: Ti vedremo mai in Europa — magari anche in Italia, dove in tanti ti stiamo seguendo?
K: Un tour europeo sarebbe un sogno che si avvera. In questo momento sto cercando di ottenere un finanziamento per organizzare un tour nel Regno Unito e in Europa per l’anno prossimo. Spero che vada bene, mi piacerebbe moltissimo venire in Italia.