Patrick Watson
In un’epoca ossessionata dalla pulizia sonora, Patrick Watson è l’eccezione che abbraccia l’imperfezione. Canadese, pianista classico, voce eterea, mescola chamber pop, ambient e orchestrazioni cinematografiche con un tocco artigianale che lo rende unico.
Durante Wooden Arms ha trovato un vecchio piano per strada: scordato e cigolante, l’ha usato così com’era. In Adventures in Your Own Backyard ha registrato voce e strumenti in cucina, nel bagno, persino nella vasca, per sfruttare i riverberi naturali.
Nel 2010 ha suonato un live acustico all’alba in cima a una torre radio di Montréal: niente pubblico, solo vento e strumenti.
Con Wave, nato dopo la morte della madre e una rottura importante, ha trasformato il dolore in una musica che accarezza, in punta di piedi. E su Love Songs for Robots ha persino lasciato che un software componesse alcune armonie, poi reinterpretate con strumenti veri.
Watson costruisce i suoi dischi come piccole case abitate da fantasmi gentili. Se non lo conosci, inizia con “To Build a Home” o “Here Comes the River”. Poi lasciati trasportare.